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Come scegliere la prima canoa o kayak: i materiali di costruzione

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DSC_4696Nel precedente articolo ci siamo occupati di lunghezze e profili delle imbarcazioni, oggi, come promesso, ci occuperemo di materiali.
Da questo punto di vista dobbiamo fare una prima distinzione tra scafi rigidi, scafi smontabili o pieghevoli (folding boat) e scafi gonfiabili (inflatable boat). Dal punto di vista prestazionale (e a mio parere anche da quello della praticità di utilizzo) sono di gran lunga preferibili gli scafi rigidi. Il mio consiglio è di orientarsi sempre su scafi rigidi, quando non sussistano inderogabili impedimenti per il loro utilizzo. In second’ordine gli scafi smotabili, o pieghevoli, che, se ben realizzati, possono avere prestazioni che si avvicinano (senza mai peraltro raggiungerle) a quelle degli scafi rigidi. Estrema ratio, quando proprio non si può fare diversamente, gli scafi pneumatici, che sono i più scarsi sotto tutti i punti di vista.
Dal punto di vista prestazionale c’è poco da dire: uno scafo rigido è sempre più performante di uno smontabile o pneumatico. Ogni flessione longitudinale e torsionale dello scafo comporta una dispersione di energia, è chiaro quindi che uno scafo rigido è sempre preferibile.
Ma ho detto prima che secondo me lo scafo rigido è preferibile anche dal punto di vista della praticità. Certo, una canoa 4,5 – 5 mt è abbastanza ingombrante, necessita di un posto per rimessarla, possibilmente al coperto (spiegheremo poi il perché), una tettoia, un garage… Ma una volta caricata sull’auto (il carico può sporgere posteriormente fino al 30% della lunghezza del veicolo, quindi è sufficiente una vettura di media dimensione) il problema è risolto. Quando ero neopatentato caricavo 5 kayak da slalom (che all’epoca erano 4 mt.) su un’A112, una delle utilitarie più minuscole mai costruite. Il fatto di caricare la canoa sul tetto lascia il bagagliaio libero per tutto il resto dell’attrezzatura, invece un pieghevole o un pneumatico porterebbe via una buona parte dello spazio di carico. Inoltre arrivato a destinazione dovrò impiegare almeno 15 min. per montare o gonfiare il natante, e lo stesso dopo lo sbarco (se non ho tempo di farlo asciugare, dovrò ripetere l’operazione a casa). Le prime volte, magari in una bella e tiepida giornata effettuerete queste operazioni con entusiasmo… dopo un po’ diventerà un’incombenza. Immaginate poi di doverlo fare in una giornata afosa, sotto un sole implacabile, o magari con il vento che infuria e vi butta tutto all’aria. Lo scafo rigido è bell’e pronto e devo solo scaricarlo e metterlo in acqua, e quando ho finito ricaricarlo. Ecco perché dico che più che l’ingombro è necessario fare attenzione al peso.
E’ inoltre un errore pensare che pneumatici o pieghevoli siano più leggeri degli scafi rigidi: dipende da tante cose.
Il fanalino di coda spetta agli scafi gonfiabili, per limiti costruttivi le prestazioni sono sempre molto più scarse sia degli scafi rigidi che di quelli pieghevoli. Dal mio punto di vista sono consigliabili solo in due casi: 1) per principianti che vogliano provare una discesa in torrente, questi natanti sono infatti molto stabili, galleggiano molto e non temono gli impatti contro le rocce perché rimbalzano. Sono in ogni caso molto lenti e molto più difficili da controllare, una volta acquisita la tecnica. Inoltre per poter essere di robustezza adeguata il materiale (pvc o hypalon-neoprene) deve essere di buona consistenza e quindi il peso risulta sostanzialmente analogo a un modello rigido (e anche il prezzo). 2) quando si abbiano effettivi problemi logistici di trasporto. Ad esempio vado a fare un trekking in autosufficienza in cui sono presenti dei guadi o dei tratti di navigazione. A questo scopo da qualche anno sono stati messi a punto i packraft, battellini monoposto, ultraleggeri, che vengono gonfiati a bassa pressione e costituiscono natanti “di fortuna” per questi utilizzi. Sottolineo di fortuna. Sono corti, larghi, molli, offrono grande resistenza all’avanzamento e al vento, non sono direzionali. L’unico pregio che hanno è l’estrema leggerezza e facilità di trasporto. Il costo è elevato. Li consiglio esclusivamente agli amanti dell’avventura multi sport.
Se gli scafi pneumatici possono quindi trovare il loro posto in torrente o in situazioni come quelle sopra descritte, per navigare su laghi, fiumi ampii di fondovalle o mare sono decisamente poco adatti. In particolare al mare patiranno l’assenza di chiglia e la forte presa che consentono al vento, dal momento che il pescaggio è bassissimo e la parte emersa voluminosa.
Sgombrato il campo dagli equivoci sulla pretesa maggior praticità dei pieghevoli o gonfiabili, veniamo ora agli scafi rigidi. Attualmente la maggior parte degli scafi rigidi in commercio, dal punto di vista costruttivo, è di due tipi: in materiale plastico (polietilene o altri polimeri o stratificazioni di questi) o in materiali compositi, ossia tessuti di fibre varie (vetro, diolene, kevlar- aramid, carbonio o stratificazioni miste) impregnati con resine (poliestere, vinilestere, epossidiche).
Esistono poi anche costruzioni in compensato marino o striscie di essenze pregiate, ma sono molto costose e delicate, quindi adatte ad un uso specialistico, perciò non le prenderò qui in considerazione. L’alluminio, parecchio usato in passato per le canoe, soprattutto nel continente americano, è ormai in disuso.
Quali scegliere? Anche qui i fattori da considerare sono: l’utilizzo, la resistenza, il costo, il peso.
Il polietilene (plastica) normalmente lavorato con il metodo rotazionale (lo stampo riscaldato ruota in tutte le direzione in modo che i granuli di polietilene fuso vadano a spalmarsi su tutta la superficie per effetto della forza centrifuga) è il materiale più economico e pesante. Ha dalla sua un’ottima resistenza agli impatti e una discreta resistenza all’abrasione. Al giorno d’oggi quasi tutti gli scafi da torrente, in particolare i kayak, non destinati all’uso agonistico, sono realizzati con questo metodo. Poiché la lunghezza oggi più utilizzata su torrente è compresa tra 250 e 270 cm, i pesi variano tra i 19 e i 24 kg, a seconda dello spessore del materiale (minimo 6/7 mm.) e degli allestimenti interni. Ma un kayak da turismo o da mare/lago, realizzato con questo materiale, a causa della maggiore lunghezza può arrivare a pesare anche più di 30 kg. Caricarlo sulla vettura da solo comincia ad essere problematico. Per alcune canoe arriviamo a superare i 45/50 kg.
Inoltre il polietilene è sì resistente agli impatti, ma meno rigido (specialmente aumentando la lunghezza dello scafo) e patisce l’azione dei raggi ultravioletti e del gelo. Uno scafo in polietilene dovrebbe essere sempre rimessato al coperto, perché i raggi ultravioletti (e in certa misura il gelo) tendono a far vetrificare il materiale, che perdendo di elasticità si indebolisce e perde le sue caratteristiche strutturali, fino a sbriciolarsi letteralmente dopo molti anni di esposizione.
Vi sono poi costruzioni in sandwich di polietilene o altri materiali, abs ecc… che sono un po’ una via di mezzo tra il polietilene rotazionale e i compositi. Sono un po’ più leggeri del polietilene pieno, ma generalmente un po’ meno robusti. Si trovano impiegati soprattutto sulle canoe canadesi, per contenere il peso.
Se dunque per l’uso torrentizio il polietilene rappresenta una scelta pressoché obbligata, per resistenza, praticità ecc… per un uso turistico di fondovalle, lacustre o fluviale i materiali compositi offrono molti vantaggi in più. Sono più rigidi, più leggeri e più performanti. Ultimamente la fibra di vetro e la resina poliestere sono state abbandonate dai migliori costruttori. Gli scafi più pregiati sono realizzati di solito in kevlar o kevlar e carbonio, impregnati con resine epossidiche sottovuoto. E’ naturalmente un processo più artigianale e costoso, ma i vantaggi sono innumerevoli, tra cui quello di poter variare lo spessore e la composizione degli strati nelle varie parti dello scafo (più rigido e resistente il fondo, più sottile e leggera la coperta). E’ possibile quindi costruire scafi più leggeri e molto rigidi. La resistenza agli impatti è minore di quella del polietilene, ma non così scarsa come si potrebbe pensare; la resistenza all’abrasione è piuttosto buona, anche se le righe su uno scafo nuovo di pacca possono far male al cuore… Su un kayak da mare di oltre 5 mt si possono risparmiare tranquillamente, a parità di equipaggiamento, una decina di kg rispetto al polietilene. Possiedo due canoe canadesi da turismo: una in royalex (un materiale non più in produzione ma sostituito con altri analoghi) un sandwich formato da due sottili pellicole di materia plastica e un cuore in schiuma espansa (quindi già molto più leggero del polietilene pieno), è lunga 5 mt e pesa circa 35 kg.; l’altra in kevlar-carbon con resina epoxy costruzione ultra light, 4,80 mt. e pesa 13 kg!! Le murate sono sottilissime, tanto da flettere sotto la pressione delle dita, ma il fondo è invece molto rigido. Naturalmente non è fatta per sbattere contro le rocce, ma piccoli urti o strisciate sul fondo non sono un problema.
Inoltre i materiali compositi sono molto meno soggetti all’invecchiamento da raggi UV. Anche questi sarebbe meglio rimessarli al coperto, ma patiscono comunque molto meno del polietilene. Uno scafo in composito, correttamente utilizzato e conservato, dopo 20 anni è ancora nuovo.
Solo vantaggi quindi? Purtroppo no: il prezzo delle imbarcazioni in composito è mediamente il doppio o anche più rispetto a quelle in polietilene, ma a causa della maggiore longevità è possibile reperire sul mercato dell’usato degli ottimi scafi a prezzi abbordabili.
Riassumendo: 1) gli scafi rigidi sono da preferire a quelli gonfiabili o smontabili, a meno che insuperabili problemi logistici ne rendano impossibile l’utilizzo. 2) a parte l’uso in torrente, gli scafi in composito sono più performanti, leggeri e longevi, ma più costosi e un po’ più delicati. Nel prossimo articolo vedremo come orientarci nella scelta tra kayak e canadese, sit in e sit on.

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