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Balkan (dis)Adventure

Balkan (dis)Adventure published on

mre009di Paolo Santoné

Quest’anno, il tradizionale viaggio di fine aprile ha portato diversi paddlers italiani nei Balcani. Il nostro gruppo, composto da Francesca, Andrea, Roby e Valerio, oltre naturalmente al sottoscritto e ai suoi due cani corsi, Buia e Bambù, è partito venerdì 21 nel tardo pomeriggio, destinazione Bosnia e Montenegro.

Una gran tirata nella notte, alternandoci alla guida, ci ha permesso di imbarcarci già sabato pomeriggio sulla Mrežnica, nella regione di Karlovac, in Croazia, bel fiume di risorgiva, caratterizzato da tratti piatti alternati a soglie di varia altezza. Ambiente spettacolare. Purtroppo il livello un po’ basso non ci ha concesso di goderne pienamente. Su molte soglie infatti, a causa della scarsità d’acqua e del tipo di roccia (forse calcarea) i kayak venivano frenati e si finiva di saltare praticamente da fermi. Una cascata di 6/7 metri l’abbiamo trasbordata tutti, benché non fosse niente di che, ma nessuno si è sentito di maltrattarsi la schiena il primo giorno, poiché l’atterraggio era in acqua quasi ferma.
Ci siamo comunque sbizzarriti a ripetere diverse volte i saltini centrali, in cui l’acqua era più convogliata. Il luogo meritava in ogni caso una visita, anche solo per il paesaggio meraviglioso.
Questa è stata un po’ la costante di tutto il viaggio, fiumi non particolarmente esaltanti dal punto di visto tecnico, anche dove l’acqua non mancava, ma incassati in gole remote e di grandiosa bellezza.
Il mattino successivo ci vede accampati in un sedicente campeggio sulle sponde del fiume Una in Bosnia, dopo un viaggio travagliato, animato da discussioni tra chi voleva trovare un posto tranquillo per la notte (io) e chi voleva viaggiare ad oltranza, terminato con il mio camper impantanato a tarda notte (nel campeggio…), spinte, rimorchi e bestemmie…
Dopo una colazione a base di grappe e formaggi bosniaci offerti dai gestori del campo partiamo per la discesa di circa 25 km del fiume Lunac, dall’abitato di Bastasi (…un nome un programma) alla confluenza con l’Una, a valle di Martin Brod. Il fiume è dato di 3°/4° ma in realtà è 1°/2°/3°, a parte un’orrendo impraticabile, ben sifonato, verso i due terzi del percorso, e una rapida di 4° (vero) di volume, poco prima della confluenza con l’Una. In tutto il tratto superiore l’unica vera difficoltà è costituita dal fatto che spesso il fiume si allarga nel bosco, e ci si deve destreggiare tra arbusti, tronchi e colini di rami, ma la corrente è modesta. Alcune rapidine sono divertenti ma non impegnative. Nell’ultima rapida di 4° invece il fiume cambia completamente carattere, diventa impetuoso e sfodera volume e dislivello. Qui abbiamo avuto attimi di suspance a causa del ribaltamento di Francesca, fortunatamente risolto senza problemi al secondo tentativo di eskimo. Allo sbarramento rotto successivo Andrea sbaglia linea e rimedia un bruttissimo solco scavato sul fondo della sua 9r, per fortuna lo scafo tiene e lui la prende con filosofia (io, con il mio proverbiale aplomb, avrei scomodato mezzo paradiso)… Allo sbarco vediamo che il livello è poco superiore a 14, medio, in base alle informazioni che abbiamo.
Mentre ci apprestiamo a caricare tutte le masserizie per il recupero si ferma un guardiaparco con la sua Lada Niva a passo lungo (mai vista da noi, ma lì è pieno). Non parla una parola di inglese ma telefona al suo comando e ci fa parlare con qualcuno che ci spiega che abbiamo commesso un’infrazione: il fiume Lunac attraversa infatti il parco ed è vietato percorrerlo… Però non c’è alcun tipo di segnalazione in proposito, quindi non ci fanno la multa, ma ci avvisano di non farlo più… Vabbé tanto ormai… comunque sapevatelo.
Il 24 aprile è giorno di trasferimento, ci inoltriamo nell’interno della Bosnia Herzegovina, in direzione est/sud-est. Percorriamo ampie vallate attraversate da grandi, placidi corsi d’acqua, risaliamo un paio di colli. Iniziamo a trovare neve e terribili strade sterrate, piene di buche, che saranno la costante di gran parte del viaggio. I segni della guerra che ha sconvolto il paese si vedono ancora chiaramente, nonostante siano passati una ventina d’anni. Innumerevoli cimiteri, prevalentemente musulmani, ma non solo, costellano i fianchi delle colline. Le case, quelle ancora in piedi, portano i segni delle sparatorie. Quelle di recente costruzioni sono per metà incompiute, con i muri da intonacare, ampliamenti lasciati a metà ecc… Le campagne sono costellate dai crateri delle bombe. L’impressione è di una grande arretratezza e di un plumbeo squallore che pervade queste zone, altrimenti paesaggisticamente affascinanti. L’abitudine di utilizzare i corsi d’acqua come discariche è inveterata anche qui, e ciò che li salva è solo la scarsità di abitanti, al di fuori dei centri principali.
La popolazione è generalmente amichevole e gentile ma, fuori dalle città, nessuno spiccica una parola di inglese. Nelle piccole località rurali è evidente che il passaggio dei nostri due camper, carichi di coloratissimi kayak, suscita grande interesse. La gente per strada ci saluta con la mano, non solo i bambini.
Il 25 aprile è la volta della Bjostica, impetuoso torrente gonfiato dalle piogge dei giorni precedenti e dallo scioglimento della neve, nei pressi di Olovo, a nord-est di Sarajevo. Per arrivare all’imbarco bisogna percorrere una stretta strada che si snoda tra boschi e pinete ancora parzialmente innevati, ovunque disseminati da inquietanti cartelli rossi, raffiguranti teschi e tibie incrociate, che mettono in guardia sul pericolo delle mine!!
Si arriva infine in un paesino di 4 anime in cima alla collina, dove il nostro arrivo è subito oggetto di amichevole attenzione, ma non è possibile alcuna conversazione che non si limiti a cenni di saluto e qualche sorriso.
Si scende poi trascinando i kayak nel bosco per una mezz’oretta, fino all’imbarco, sempre ben attenti a non allontanarsi troppo dal sentiero.
L’acqua è torbida e il fiume sembra più cattivo di quanto in realtà non sia. Le scarse notizie che abbiamo parlano di difficoltà intorno al 4°-5° grado; in realtà dopo i primi due/tre passaggi di 4° la difficoltà si attesta su un 3° di volume. Ma va bene così: la gola è remota e poco accessibile (anche senza considerare le mine), il percorso per noi sconosciuto, nessuno ha voglia di cercarsi grane. Non resisto però alla tentazione di affrontare nella main line il primo passaggio: un bel bananone in esterno curva che porta dritto dentro ad un doppio buco. Visto che ci sono i compagni a valle con la corda, mi lancio. La linea è buona ma sprofondo completamente nel buco. Sensazione di grande pressione e poi, fortunatamente, accelerazione. La mia Tuna si inabissa completamente, buio per un attimo (che sembra più lungo sia a me che ci sono dentro, sia ai miei compagni che mi vedono sparire), e poi riemerge qualche metro a valle. Wow!
Ancora qualche brivido nell’affrontare un passaggio in gola con pareti a picco, non ispezionabile a piedi, due bei buconi ma una linea pulita che permette di passarci vicino indenni. Poi le difficoltà calano e ci godiamo le belle gole boschive e le gonfie rapide ondose. Nella parte finale, aggrappati ai rami bassi degli alberi, metri e metri di nastro giallo con la scritta “pozor mine”, strappati da chissà dove. Decisamente non il posto consigliato per fare un giro a funghi.
Potevamo fermarci a dormire nel comodo e accogliente parcheggio deserto allo sbarco e fare un boccone nel ristorantino gestito da cordialissimi local, per scendere il giorno successivo il fiume Krivaja che è nella stessa zona?
Naturalmente no. A Valerio prende la fregola di andare immediatamente a Sarajevo – tanto sono solo una trentina di km. mezz’oretta, stasera torniamo – …
Detto fatto! Naturalmente per fare i 30 km impieghiamo un’ora e mezza e poi riusciamo nella genialata di arrivare con i camper nel centro di Sarajevo. Qui una premurosa pattuglia di polizia ci scorta ad un parcheggio e ci saluta dopo averci messo in guardia di non lasciare nulla di valore in camper perché in città è pieno di ladri. Il mio camper è già stato scassinato lo scorso anno in Liguria, quindi lascio all’interno i miei due molossi, rincuorato dalla loro presenza. Facciamo due passi verso il centro, ma poco dopo veniamo inesorabilmente fagocitati dal wi-fi di un centro commerciale. Bon! Tutti assorbiti e sprofondati negli schermi degli smartphone… non ci si muove e non si spiccica parola per oltre mezz’ora… Finalmente riesco a sradicare i miei compagni di viaggio dalla dipendenza da social e si fa un giretto nel centro storico. Un’oretta o poco più… giusto quel tanto per permettere ai famosi ladri di spaccare il camper di Francesca e di trafugare il preziosissimo zainetto di Roby. La presenza di Bambù, accovacciato sul sedile di guida, mentre sbava sul volante, stavolta mi ha salvato…
Finiamo a dormire in un campeggio inculato tra le colline di Sarajevo dove uccellini contaminati dall’uranio impoverito cinguettano tutta la notte! Però c’è l’agognato wi-fi… Vabbé almeno al mattino posso farmi una doccia (sarà l’unica di tutto il viaggio).
Martedì 26, gole della Neretva, il fiume simbolo della guerra di Bosnia. Anche in questo caso un fiume che non supera il 3°, ma con acqua abbondante e gole stupende, ricche di risorgive. Nulla di particolare da segnalare, la cosa più interessante è il paesaggio, anche se qualche rapida divertente non manca.
La sera ci accampiamo, dopo le solite discussioni, in uno slargo ai margini di una strada poco trafficata sulle colline, dove finalmente possiamo allestire una griglia per arrostire gli ultimi cevapcici, che stanno agitandosi nel frigo del mio camper, funzionante a fasi alterne. Dopo un po’ passa un’auto della polizia… che ci ignora totalmente.
La mattina successiva continuiamo a scendere verso il Montenegro. Da notare che avevamo ricevuto un messaggio dal gruppo del Pante, che ci precedeva di un paio di giorni, il quale metteva in guardia dal non fare la strada che dalla valle della Neretva prosegue verso sud attraverso le montagne, in quanto trattasi di una trentina di km di feroce sterrato… Naturalmente, manco a dirlo, i nostri prodi navigatori, muniti di tutti i mezzi tecnologici del caso, satellitari, gps, mappe on line e chi più ne ha… che strada prendono? Che ve lo dico a fare?!
Già l’incontro con una specie di miliziano a cavallo in tenuta mimetica avrebbe dovuto farci riflettere, insieme al cartello che indica 10 km di strada sterrata e dissestata (ma che sarà mai sono solo 10 km non 30, infatti poi dopo 10 km altro cartello e poi altro ancora…) ma niente, duri e puri, tiriamo avanti…
Dopo pochi km il gradino elettrico del camper di Francesca si stacca e inizia a raschiare per terra… sosta tecnica per rimuoverlo e si riparte. Ancora un po’ di strada e arriviamo a un ponte sospeso, ricoperto di tavole mezze rotte, rattoppate con rami raccogliticci che attraversa una profonda gola, percorsa da un torrentazzo di difficoltà variabile tra il 5° + e l’impraticabile, che saggiamente nessuno prende in considerazione. Comunque il passaggio avviene senza incidenti. Poco dopo però, durante un restringimento della strada, pizzico con il fianco della ruota anteriore sinistra una pietra aguzza… psssssssss!!! gomma squarciata. Era nuova ovviamente…
Ora bisogna sapere che la ruota di scorta del Ford Transit è appesa sotto il pianale, e bisogna liberarla dalla sua sede infilando l’asta del crick in buco laterale (già di suo quasi impossibile da vedere) e svitare finché non si appoggia a terra. Peccato che i geni della 2Erre che hanno allestito il mio camper non abbiano minimamente considerato l’ipotesi di una foratura, e il predetto buco sia praticamente irraggiungibile, seppellito tra cavi e serbatoi vari, nonché reso totalmente inaccessibile dal parafango-fascione laterale… Morale: 2 ore per sostituire la gomma, e impresa riuscita solo dopo aver smontato la parte posteriore del predetto fascione.
Riusciamo infine a proseguire, e dopo qualche altra ora di saliscendi su piste inesorabili arriviamo infine a Foča, e cominciamo la ricerca di un gommista. Va detto che in tutta la prima parte della Bosnia abbiamo visto più gommisti che lattai, enormi officine attrezzate di tutto punto con piramidi di pneumatici accatastati all’esterno, ma qui, ovviamente, nulla, ça va sans dire…
Seguendo poco affidabili indicazioni, giungiamo presso una casa che sembra reduce da un bombardamento, dove un sosia di Putin in tuta bisunta cerca di appiopparmi una gomma di misura improbabile, che tiene, insieme ad una decina di altre, in una stanza di casa al secondo piano. Ma tanto in casa non ci sono né finestre né pavimenti, solo una vecchia che cuoce qualcosa dietro una tenda. Ripensando a certi film di Quentin Tarantino, mi auguro che non siano i resti, stufati, del cliente precedente… La conversazione avviene tramite il traduttore inglese-cirillico del suo imbarazzante smartphone da 24 pollici, naturalmente nessuno dei due capisce una mazza.
Quando finalmente riusciamo a liberarci, un provvidenziale incontro con una guida rafting del luogo che, miracolo!, parla un po’ di inglese, ci consente di approdare da un altro gommista, che ripara alla bell’e meglio la ruota squarciata, vulcanizzandola e mettendoci una camera d’aria; meglio tenerla di scorta per le emergenze…
Riusciamo infine a ripartire che sono quasi le 20, ma la guida di prima ci ha assicurato che la frontiera con il Montenegro, e quindi le valli della Piva e della Tara, nostra prossima meta, sono vicine, meno di un ora e che la strada è buona (infatti è sterrata solo per metà…). Impieghiamo circa un’ora e mezza ad arrivare alla prima frontiera, e qui iniziano gli estenuanti balletti con le solerti guardie di frontiera Bosniache e Montenegrine, che non capiscono una parola di inglese, ma in compenso prendono scrupolosamente nota di tutte le generalità di ogni passeggero, onde individuare pericolosi terroristi, mascherati da canoisti… Un’altra oretta trascorsa tra attese e conversazioni surreali. Suggerisco a chi vuole tornare ad un’Europa pre accordi di Shengen di farsi un giretto da queste parti, magari cambia idea.
Dopo aver controllato il camper di Francesca un solerte doganiere Montenegrino, dal cipiglio severo, si avvicina al mio mezzo ed indicando la portiera della cellula, intima: open! Cerco di spiegarmi:
– yes I’ll do, but don’t stay so close to the door, ‘cause I have two dogs inside.
Il gendarme che ovviamente ha capito sega inizia ad alterarsi: – OPEN!!
– Yes, yes open, but there are two big dogs inside. Bau bau! do you understand?
Lampo di comprensione: – Ah, not open… go go!!
Così entriamo in Montenegro con il nostro carico di salvagenti al tritolo…
La confluenza di Piva e Tara, che formano insieme la Drina, è subito dopo la frontiera, e ci fermiamo al campo base di rafting Modra Rijeka, indicatoci dalla guida incontrata a Foča, dove però hanno solo bungalow, nessuna attrezzatura per camping, e dove tutti sono terrorizzati dai miei cani, tanto che sono costretto a legarli fuori dal camper, per dargli da mangiare, mentre noi ci prepariamo la cena.
Questa zona è piena di Rafting Camp, ma capiamo presto che non si tratta di gente di fiume, ma di puro business. Ogni pensione, hotel, lodge ecc., ha capito le possibilità commerciali della cosa e propone discese in raft.
Al mattino la prima occhiata alla Piva, che le recensioni in nostro possesso descrivono come il Futalefù dei Balcani è piuttosto deludente: acqua pulitissima e trasparente stile Soča, ma livello bassissimo. Ad un certo punto, però, comincia il rilascio e il fiume si riempie.
Poco dopo le 11 siamo all’imbarco sotto la diga, ma qui incontriamo due addetti della centrale che ci informano che a mezzogiorno chiuderanno l’acqua… Al momento lavorano due turbine, che secondo le nostre informazioni dovrebbero corrispondere circa a 300 mcs.
Ci vestiamo a ci imbarchiamo velocissimi, preoccupati dalla possibilità di rimanere a secco a metà gola.
La portata è davvero abbondante, forse non raggiunge i 300 metri cubi, ma sicuramente la stimiamo tra i 150 e i 200.
Ci sono grandi onde e qualche grosso buco, ma facilmente evitabile. Stiamo tutti abbottonati comunque, abbastanza intimiditi dal grande volume a cui non siamo abituati.
La difficoltà maggiore è data dai grossi funghi, che si creano nelle zone tra morta e corrente, e ti spostano come niente anche di un paio di metri.
Scendiamo a vista fino a un passaggio con un paio di soglie, visibili da un ponte che attraversa la gola a grande altezza. Un rapido scouting ci consente di individuare una linea pulita e affrontiamo il passaggio senza problemi, a parte la lotta con i grossi funghi. Per qualche secondo mi trovo a pagaiare come un matto, ma il kayak invece ci avanzare sembra si sposti solo lateralmente… Comunque alla fine tutto ok e proseguiamo. Stimiamo il passaggio un 4° di volume.
Proseguiamo a manetta, sempre con l’apprensione della chiusura del rubinetto. Infatti, arriviati allo sbarco, il tempo di risalire il sentiero che ci riporta al campo e l’acqua comincia a calare. Poco dopo il fiume è di nuovo quasi asciutto.
Facciamo un boccone veloce con enormi omelette locali condite con pezzi di wurstel, marmellata, miele e formaggio.
Una mezz’oretta di riposo dopodiché, visto che è ancora presto e la giornata è meravigliosa, decidiamo di farci anche i 17 km del canyon della Tara.
Piccolo problemino: il fiume scorre lungo il confine tra Bosnia e Montenegro, quindi per recarci all’imbarco dobbiamo nuovamente attraversare la frontiera Montenegrina… Altra coda, e lo stesso sarà per il recupero…
Dopo un certo tempo di attesa riesco a farmi capire da uno dei doganieri, spiegandogli che andiamo solo all’imbarco e poi ripasseremo e ripasseremo ancora per il recupero… finalmente ci fa passare.
Naturalmente la strada che risale la valle è stretta e in buona parte sterrata, comunque verso metà pomeriggio siamo in acqua. Anche qui un bel volumone, ma ormai abbiamo preso confidenza e ci godiamo la cavalcata sulle grandi onde che fanno sparire alla vista i compagni che precedono. Nel complesso la giornata più piena e soddisfacente dell’intera vacanza.
Il sabato 29, come da previsioni piove e fa freddo, tanto da scoraggiare chiunque dal ripetere le discese. Riprendiamo la via di casa e riattraversiamo, questa volta per strade più decenti, l’intera Bosnia. Risalendo verso Sarajevo siamo sorpresi da una gran nevicata! Fiocchi grassi e fitti che rapidamente si attaccano al parabrezza. Per fortuna la strada rimane pulita e non si slitta. Osserviamo un bel torrentazzo, la Bistrica, che scorre vicino alla strada. Bei tratti di 4°-5°, ma fa troppo freddo per farci venire la voglia di imbarcarci.
Verso sera arriviamo alla frontiera con la Croazia, e proprio mentre siamo in coda anche la ruota di scorta che avevamo montato sul mio camper inizia a sgonfiarsi… Riusciamo a malapena a passare la frontiera e poi ci rimane la valvola in mano. Naturalmente è notte e il giorno successivo è domenica, e lunedì è il primo maggio…
Per farla breve, grazie all’inventiva di Valerio, riusciamo a riparare alla bell’e meglio la valvola con l’attak(!!)… e percorreremo alla velocità massima di 80 km all’ora i quasi 1000 km che ci separano da casa. Nel frattempo sono finite anche le pastiglie, e i freni fanno un rumoraccio di ferraglia.
I miei compagni di viaggio percorreranno ancora 4 o 5 km di un torrente veloce e continuo in Slovenia, a nord di Lubjana. Si chiama Bistrica anche questo, ma non ha nulla a che vedere con quello bosniaco. Io rinuncio e me ne sto tranquillo al sole con i miei cani.
L’ultima disavventura, per non farsi mancare niente, l’abbiamo il 1° maggio, poco dopo Padova, in un’area di servizio in cui ci siamo fermati a dormire: una pattuglia della stradale ci fa gentilmente notare che al camper di Francesca è scaduta la revisione da, oooopss, solo 4 anni!!… Si dimostrano molto comprensivi e invece di disporre subito il blocco del veicolo ci scortano fuori dall’autostrada e si limitano ad un verbale. Il ritorno dovrà però avvenire per statale, vietato riprendere l’autostrada. Questo ritarderà ulteriormente di qualche ora il rientro, ma ormai siamo quasi a casa, e stiamo già pensando alle mete delle prossime discese.

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