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Extreme slalom: perché?

Extreme slalom: perché? published on

001 di Paolo Santoné
Da qualche anno, in coda alle competizioni di slalom si assiste al fenomeno del cosiddetto extreme slalom, che sarà anche “sport olimpico” nel 2024. Normalmente non scrivo di agonismo, in quanto da anni sono lontano dal settore e, fatto salvo per il playboating, non ritengo di avere particolari competenze tecniche da mettere a
disposizione dei lettori (ciò nonostante non parlo senza cognizione di causa: ho praticato agonismo in C1 discesa e slalom, prima di dedicarmi al freestyle in cui sono stato per cinque anni nel top ranking europeo). In questo caso però mi sembra opportuno soffermarmi a riflettere sui motivi e le implicazioni di questa formula.

Le gare vengono svolte nei campi di gara (ormai quasi solo artificiali) della gara convenzionale, ma con partenza da una rampa di quattro concorrenti contemporaneamente, che, spintonandosi e ostacolandosi a vicenda, cercano di sopravanzare gli avversari e di svolgere un percorso “obbligato”, segnato da alcune “porte”, che possono anche essere toccate o spostate con mani o pagaia per passare (senza penalità); il tutto è condito da un eskimo obbligatorio da effettuare in un determinato tratto del percorso. Le uniche caratteristiche estreme di questa formula sono l’aleatorietà del risultato, che non premia il migliore o il più veloce, ma solo il più aggressivo e fortunato, e le possibilità di infortunio degli atleti, che aumentano esponenzialmente data la presenza contemporanea di quattro atleti in acqua, che non si avvicendano ordinatamente come in una gara a squadre, ma cercano di sopravanzarsi e ostacolarsi in ogni modo (si veda ad esempio nel video proposto al min, 18,30).

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Mi pare di aver capito che c’è poi un giudizio arbitrale che interviene in caso di “comportamenti pericolosi”, giudizio che aggiunge aleatorietà al risultato e naturalmente non elimina il rischio di incidenti involontari. Sarebbe come minimo necessario imporre protezioni per il viso, i gomiti e il busto degli atleti, dato che prendere una pagaiata nei denti o sul naso o la punta di un kayak nel costato è tutt’altro che improbabile.

Un momento di "extreme slalom"
Un momento di “extreme slalom”

Ma quando sento parlare di “extreme slalom” mi immagino una gara di slalom su un percorso di estrema difficoltà, come ad esempio la gara sul North Fork of the Payette in Idaho, un V di volume in cui si deve eseguire un percorso di slalom a cronometro, individualmente, non in quattro. C’è poi anche il boater cross con partenza in linea, ma in questo caso non ci sono le porte, e quindi i concorrenti non sono costretti a cozzare uno con l’altro.

La gara sul Noth Fork of the Payette
La gara sul Noth Fork of the Payette

Ma in questo “extreme slalom” promosso dalla ICF non c’è nulla di estremo a parte la stupidità della formula: il campo di gara è lo stesso dello slalom e non supera mai il IV grado (ad essere generosi, il bello dello slalom è proprio quello di creare combinazioni difficili su percorsi non pericolosi), le combinazioni di porte non sono particolarmente impegnative (anzi molto meno); quindi perché “extreme”? Solo per motivi di marketing: l’aggettivo “tira”, fa presa nell’immaginario collettivo e viene quindi utilizzato a sproposito.

Quali sono le motivazioni di questa scelta? Lo spettacolo e il correre dietro ai “gusti del grande pubblico”, che alla lunga si traduce nella ricerca di un tornaconto economico da parte delle federazioni, sempre più soggetti di arrampicata politica che di promozione sportiva.
Al pubblico piace il confronto diretto. E pazienza se l’eticità del nostro sport si traduce proprio nel fatto che l’avversario non è l’altro concorrente (e nemmeno il percorso naturalmente) ma i nostri limiti. E’ come nello sci, l’atleta si confronta con sé stesso prima che con gli altri, punta a superare sé stesso non gli avversari. Ma anche nello sci, per i soliti motivi televisivi e di pancia del pubblico si assiste allo spettacolo penoso del parallelo (anche questo aleatorio, pericoloso e oltremodo stupido).
E sì che ci si è già provato con la canoa polo, che ripropone in canoa la formula della pallanuoto, e quindi alla fin fine del calcio, ed ha almeno il vantaggio di essere praticato con protezioni idonee. Due squadre avversarie e una palla, la formula più amata dal pubblico, eppure non mi pare che la canoa polo abbia mai fatto record di spettatori, anche se abbiamo avuto una nazionale molto forte.

Nel corso della mia carriera ho visto cambiare le regole dello slalom, portando il tocco di porta da 5 secondi a 2 secondi, sempre in nome dello spettacolo, penalizzando in questo modo la precisione del gesto che è a mio avviso invece l’anima della disciplina. Introducendo le batterie eliminatorie invece della migliore delle due manche; con il risultato che magari un atleta che ha fatto il tempo e il percorso migliore in semifinale si vede battuto in finale da un’altro che non è riuscito mai a fare una manche buona come la sua, ma che ne ha fatta una sufficiente a sopravanzarlo nel momento giusto.

In discesa abbiamo visto le gare che una volta si disputavano su fiumi anche di un certo impegno (Noce, Sture, Sesia ecc.) e per percorrenze di venti minuti o più (in cui era importante la tattica di gara, la tenuta fisica e psicologica ecc…), ridotte a sprint di 30 secondi sui canali artificiali, sempre per motivi di “spettacolo televisivo”. Le federazioni hanno prostituito lo spirito del nostro sport al business.

Ma nulla era avvenuto finora di così grave come questa nuova formula: grave perché diseducativa oltre che inutilmente pericolosa: è la prima volta che si incita ad ostacolare gli avversari anziché aiutare i compagni come il nostro sport insegna, ed è la migliore lezione che può darci; fare gruppo, risolvere insieme i problemi. Invece no, per interesse, per becera miopia, passa un messaggio opposto. Quando partecipavo alle gare di discesa la regola era che se ti imbattevi in un altro concorrente in difficoltà ti fermavi ad aiutarlo, pena la squalifica. In una delle ultime gare nazionali, sempre di discesa, a cui ho partecipato, ho trovato il giovanissimo, allora, Vladi Panato (per chi non sapesse ha poi dominato la specialità dal 1993 al 2009 vincendo 10 titoli mondiali) ai suoi esordi, che era andato a bagno: ho rallentato per recuperargli la pagaia. Questo è lo spirito che dovrebbe essere insegnato, non tagliare la strada agli altri per arrivare prima.
Quanto sopra per quanto riguarda l’aspetto sportivo (nel senso più nobile del termine) ed educativo.

Per quanto riguarda i percorsi è ovvio che voler fare canoa estrema in un canale di slalom è come pretendere di fare base jumping da un terrazzo al piano rialzato. Se si vuole fare extreme slalom si deve fare su percorsi di alto corso i IV-V grado, con un atleta impegnato alla volta, e un grande apparato di sicurezza: di manifestazioni del genere ne sono state fatte diverse (a parte la North Fork), si poteva prendere ispirazione da lì.

Ai dirigenti federali che hanno pensato questa formula ho solo un suggerimento da dare: fate un favore al nostro sport, spostatevi alle federazioni del calcio, lasciate il nostro sport alla sua dimensione minoritaria, di nicchia, povera, ma autentica e solidale. Andate a cercare il vostro tornaconto altrove. So bene che sarà un appello inascoltato, lo so da quando 35 anni fa vedevo gli atleti che dovevano competere dormire in tenda sotto il diluvio e i giudici FICK in albergo con tutti i comfort.

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